Diario personale di fatti realmente accaduti ed emozioni fortemente provate.
Ma anche no.

domenica 17 marzo 2013

Anche chi è invischiato con la vita ha tempo per le lacrime



Ho gli occhi che mi bruciano. Appena mi siedo alla scrivania ed accendo il monitor del computer mi sembrano trafitti da mille spilli.
E’ un attimo farli lacrimare. Basta un niente, di fisico: un granello di polvere, una luce troppo forte, il vento freddo di questi giorni…
Ma non materialmente? Solo un’emozione incontenibile.
Ho sempre avuto il pianto facile per via della mia eccessiva sensibilità ed insicurezza. Non so se crescendo, poi, questa mia particolarità è andata scemando o se semplicemente la pelle coperta di ferite è diventata un’unica cicatrice insensibile al tatto: fatto sta che ormai il mio pianto è cosa rara. Ma quando c’è è veramente un’inondazione di tutto quanto mi sono tenuta dentro fino a quel momento.
Accendo la luce sulla scrivania e tutto il buio si riassorbe nell’angolo in fondo alla camera. Ero stata al buio per quando tempo? Non saprei. Resto nella mia stanza in silenzio, immersa nell’ombra, seduta per terra con la schiena appoggiata all’armadio. Sento lo scrosciare della pioggia fuori, il ticchettio delle gocce sulla grondaia.
Mi rilasso. E penso.
Mio padre pochi giorni fa mi ha detto che sembra che stia scappando da quell’incalzante spinta che è la vita. Ai suoi occhi appaio impaurita, sperduta.
Ho paura, è vero. Ma dove sta la novità? Il futuro mi ha sempre inquietato a tal punto da non riuscire a vivere pienamente il presente, che vivevo da spettatrice. Avrei desiderato poter essere la protagonista del mio film, ma senza mai sgomitare per accaparrarmi quella parte che mi spettava di diritto.
Una vita al confine dell’esistenza, in cui senti di lasciarti sfuggire dalle mani proprio quello che desideri per la paura del cambiamento, per l’insicurezza, per l’incertezza del domani.
Ma sento che non è più così. La paura per il futuro, dopotutto è cosa comune a tutti. L’importante è lottare per non lasciarsi divorare dall’angoscia.
“Sai quel che lasci e non sai quel che trovi” non è più il mio motto. So’ valutare finalmente quello che mi si presenta sotto agli occhi, sono matura abbastanza per capire se lo voglio o meno, senza bisogno di aspettare il permesso di nessuno.  
Penso che per sentirsi vivi a tutti gli effetti basti fare in modo che gli istanti vengano vissuti e non attesi.
Nella vita faremo sempre soffrire qualcuno in seguito a delle nostre azioni: a volte le più stravolgenti ci porteranno lontano da coloro che ci hanno voluto bene. Ma per il bene nostro, per la nostra soddisfazione, per il desiderio di vivere la nostra vita come la vogliamo noi, inseguendo tutto quello che ci avvicina maggiormente alla felicità, dobbiamo avere la certezza che tutte queste scelte (apparentemente con rovesci della medaglia infelici) dovranno essere ben ponderate.
Ecco. Io in questo labirinto di pensieri, poi, mi blocco. Ho un enorme muro davanti a me, con una porta chiusa a chiave di fronte. Un altro muro altissimo a destra e uno a sinistra. Forse è questo il momento di piangere. Lo sarebbe, perché sono impotente. Sono innamorata da impazzire e non posso fare nulla!
Ho scelto la mia via, ho deciso cosa fare. Voglio passare da quella porta, ma ho bisogno della chiave! Non può dipendere tutto da me: so che al di là di quella porta c’è tutto quello che desidero. Se mi volto, invece, posso solo tornare sui miei passi, abbandonare la speranza della felicità, trovare altri modi per uscire dal labirinto ma…non sarà mai come passare per quella porta. E quindi urlo, chiedo aiuto, imploro che qualcuno possa sentirmi ed aiutarmi a varcare quella soglia. Poi mi siedo, e aspetto. Mi asciugo le lacrime con la manica, tiro su col naso come i bambini. Chiudo gli occhi per trattenere quel liquido salato che vorrebbe uscirne.
Prima o poi qualcuno arriverà.
Prima o poi mi apriranno, o mi diranno che non c’è più niente in cui sperare.

<<Beh, meglio tardi che mai!>>
<<No, tardi non è meglio. Tardi è tardi.>> (cit.)

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