Diario personale di fatti realmente accaduti ed emozioni fortemente provate.
Ma anche no.

martedì 30 aprile 2019

Facciamo una famiglia

24.04.19
BINTAN, Indonesia.

Ho sempre pensato che le cose belle debbano essere sempre un po' tenute nascoste. Che quando qualcuno o qualcosa per te è fondamentale, tu non sia tenuto a mostrarlo. Come le fondamenta: sorreggono tutto ciò che c'è sopra, ma non ti è concesso vederle. Non sei tenuto a mostrare quello che poi è il bene che c'è. Anche se è difficile non urlare al mondo il tuo amore, rendere tutti partecipi della tua gioia.
Che poi noi siamo un po' così, molti sguardi d'intesa senza bisogno di troppe parole.
Ma bisogna essere capaci anche di scindere la quotidianità dai giorni speciali, che come sai, per me, sono sempre da festeggiare.
Penso a tutti i nostri momenti, attimi vissuti insieme o col pensiero dell'altra sempre presente; ai nostri desideri sul futuro; al progettare una famiglia; scegliere i nomi (e litigare dolcemente e senza rabbia solo come a noi capita).
Penso che sono fortunata ad essere qua, vicino a te, su una spiaggia indonesiana che sembra farina bianca mentre timidamente mi confessi le tue intenzioni. Ti ho vista tirar fuori dalla tasca questo anello, portatore di proposte e intenzioni.
   FACCIAMO UNA FAMIGLIA INSIEME.
Oggi brindo a noi, a quello che siamo e stiamo diventando, a come siamo cresciute, maturate, decise.
Io sarò qua tra 20, 40 e 100 anni ancora e ancora.

Love you, my boo.

martedì 19 marzo 2019

San Giuseppe

Io sono io, da trentunanni. Tu sei tu. Lo sei sempre stato, da prima che arrivassi. Padre da prima che nascessi. Presente e con gli occhi lucidi come quando si riceve un dono particolare. Ti sono stata data in braccio come un pacchetto regalo; o almeno così posso immaginare. Era il tuo compleanno. Che scherzo del destino, vero?
Mi sto chiedendo da tempo cosa si provi ad essere genitore. Forse, un giorno, saprò cosa vuol dire essere madre.
Ma il padre resta e resterà un mistero.
Ovviamente, direi.
Le cose che mi vengono in mente quando ti penso, in un giorno in cui ti si dovrebbe celebrare, sono tante. Un ordine extra-chronos, sequenze di vita insieme e condivisa, momenti belli e momenti terribili. Sì, perché il nostro rapporto è stato sempre così, altalenante. Tanto, in tutto, sia nei momenti di gioia che nei momenti di terrore. Esagero? No. Era vero terrore. La paura di deluderti. Quella, chissà perché, non riesco a togliermela di dosso. Non del tutto. Per una figlia che viveva nella tua ombra, cresciuta insicura sotto un ala che più che proteggerla la spingeva a lanciarsi fuori dal nido ancora implume.
Volevi i figli geniali. Prodigio. Anticonformisti. Senza gonnella e senza bambole.
La sensazione di non essere mai all'altezza mi è rimasta. Non posso entrare in una stanza senza pensare che la gente mi fissi e mi giudichi male.
Ma non devo dartene una colpa.
Certo, con gli anni ti sei ammorbidito. Ti sei arreso? Ti ho deluso tanto da gettare la spugna? La bocciatura, la mia sospetta omosessualità (che tu avevi già capito prima ancora di me), poi il coming out, la mia insicurezza nelle scelte, e poi la mia caparbietà in altre prese di posizione che non capivi e tutt'ora non vuoi, non puoi capire..
Ma sei cambiato. O siamo cambiati noi. Non del tutto, ma un poco.
I momenti belli? Tanti. Tutti nell'infanzia, però. Le camminate in montagna, tu che mi prendevi sulle spalle, le canzoni in macchina, le storie prima di addormentarci. Queste sono le prime cose che mi vengono in mente, nonostante tutto il resto.
Una cosa però bisogna riconoscertela: sei stato sempre presente. A differenza di altri padri, con sentimenti asettici e silenzi pungenti, tu avevi emozioni chiassose, sensibilità esagerata e romantica. Un po', in questo, ho preso da te. E me ne vanto. Anche se cerco di autocensurmi più di quanto non dovrei.
Oggi, comunque, è la tua festa. Ti celebriamo. Ti ricordiamo. Ci vogliamo bene un pochino di più, sentendoci più buoni, più figli e più padri.
Perché così, inconsciamente, si fa. Sempre.
Tua.

venerdì 22 febbraio 2019

Mela su ramo alto.

Li vedo tutto il giorno, tutti i giorni.
Li ho tra le braccia, per consolarli o per una coccola. Ogni tanto qualcuno si confonde, e mi chiama 'mamma', se non addirittura 'papá'.
Compro giochi, libri, colori, per loro. A fare la spesa ho il carrello pieno di pannolini, salviettine umide, creme allo zinco. Ogni tanto qualche mamma con un bimbo nel passeggino, vedendo il carrello stracolmo di queste cose, mi lancia un'occhiata complice. Io la accolgo, e ancora un altra volta non ribatto con quel "guardi, non sono per il mio" che mi si ferma lì, invece, in gola, con l'amaro da deglutire.
Mi capita di pensare "fossi tua mamma ti verrei a prendere prima, al nido, e starei con te di più!". Poi insabbio da sola le mie parole prima che escano dal limbo dei pensieri. Forse farei così, anche io. Lo fanno tutte! O forse lo fanno perché li danno per scontati, questi bambini.
"Li ho fatti perché la società dice che è bene farli. E poi, vuoi mettere avere un complice, contro papà, quando crescerà?".  "E chi la sentiva la suocera?". "Una famiglia è tale solo se si hanno bambini".
Me li vedo davanti questi pensieri sterili, partoriti da donne impegnate in altro, nella vita. Non saranno tutte così, certo. O almeno lo spero.
Ma io aspetto. Come quando vedi una mela matura su un ramo troppo alto che non puoi raggiungere.
Lascio passare i giorni. La mela può essere beccata, può marcire, può cadere. Può non arrivare mai alle mie mani, perché qualcuno o qualcosa me lo impedisce.
Mi sento così, ora.
E sono stanca di immaginare di abbracciare un neonato con le fossette e il sorriso-gengiva, o di sognare gli ex che si fanno una famiglia solo grazie a un coito. 
Non è giusto. Non va bene. Non resisto. Non respiro. Quasi. Più.
E scoppio, sempre.
(Mia figlia dovrei chiamarla Lacrima.)