Hai quei giorni alle porte, e basta un niente per farti
girare gli ormoni. La donna è salita a Corvetto; si è fatta largo tra la gente
sulla banchina, in malo modo, inseguendo per qualche mentro il vagone della
metropolitana che rallentava man mano.
Sale, e si fionda su di un seggiolino. E’ grassa,
ingombrante, e mastica. Mastica a bocca aperta,
in un modo suino, fastidioso, facendo rumore.
Ha un sacchetto di plastica sulle gambe ora, da cui continua
a tirare fuori manciate di frutta secca, pistacchi, mandorle, che si ficca in
bocca a mano aperta, senza ritegno. Mi urta i nervi. Prende una noce dal
sacchetto e se la porta tra i denti, per romperne il guscio. Poi mi fissa, con
uno sguardo bovino, vacuo. La guardo ma non mi soffermo, e dal nervoso distolgo
lo sguardo.
Di fianco a lei una signora bionda guarda fuori dal
finestrino; è strabica, di quello strabismo evidente, da occhio pigro e
immobile. Guarda fuori, oltre la mia testa, ma quell’altro occhio è fisso su di
me. Mi domando se si rende conto di fissarmi, nonostante quella sbagliata
convergenza oculare.
La metro si ferma, salgono due ragazzi peruviani, mano nella mano. Si piazzano
davanti a me, con le loro gambe corte, lui col culo di fuori, lei con la pancia
che straborda dalla cintura. Limonano in modo indecente, scambi di saliva
eccessivi e fuori luogo mentre la metropolitana che riparte li fa ballare
avanti e indietro per l’accelerazione.
Alla ciocciona cade il sacchetto di noci a terra. Le piccole
palline marroni rotolano per il vagone, impazzite. Qualcuno si china, la
strabica guarda. I peruviani ridono, e tornano a slinguarsi.
La grassa non accenna ad alzarsi, ma aspetta che le
riportino la frutta. “Troppo gentili, troppo gentili…” continua a ripetere.
Recuperato il bottino, ricomincia a mangiare, guardandosi attorno
furtivamente.
Decido di isolarmi leggendo. Ma ormai la tranquillità è
compromessa, e mi ritrovo fissa sulle stesse parole per minuti interi, senza
proseguire nella lettura. Mi accade quando ho la testa satura, fuori fase.
Mi innervosiscono ancora certe cose; mi innervosisce il
ricamo che ci faccio su; e mi innervosisce l’innervosirmi sapendo che non c’è
nulla per cui innervosirsi. Do la colpa al ciclo, agli ormoni, alla stanchezza
della giornata, alla mancanza di sesso, al sonno.
Mi giustifico con me stessa, perché non voglio credere di
essere così intollerante. Ma le giustificazioni che trovo mi fanno solo
incazzare ancora di più. E forse stasera voglio solo essere incazzata con
qualcuno, e allora meglio che sia l’obesa che mangia, la strabica che mi fissa,
o la coppia di giovani peruviani. Gente ignara, gente che non sa, gente che
questa sera sarà sfruttata per assorbire questo fastidio.
Ho voglia di dormire. E di partire. E di una mano che mi accarezza piano, lì dove c’è un dolore che mi prende alle tempie e mi porta dritta, sdraiata sulla poltrona, tra brividi di freddo sospetti. Ho voglia di lasciarmi cullare a lungo, in silenzio, senza domande. Ma per stasera, per il momento, niente: c'è della solitudine nel vuoto della mia fronte nuda su cui nessuno sta posando un bacio. Che aspetto.