Diario personale di fatti realmente accaduti ed emozioni fortemente provate.
Ma anche no.

mercoledì 12 dicembre 2012

Tu, il mio tutto



On Air: With Me - Sum 41

Misi in moto la macchina ancora prima di allacciarmi la cintura. Cos’ era tutta quella fretta? Avevo paura di rincasare alle 2 e mezza di notte, forse? In un’altra situazione sì.
In quel momento, invece, avevo solo fretta di non farmi raggiungere dai pensieri e dalle paure.
Avevo ancora le labbra arrossate dai suoi baci, e con quella sensazione di gioia sarei voluta rimanere almeno per tutto il viaggio.
Scrutai il mio sguardo nello specchietto retrovisore non appena fui ferma al primo semaforo rosso.  Eccola lì, quella che io chiamo “la rughetta della preoccupazione”: era spuntata fuori come al solito tra le sopracciglia corrucciate. Troppo tardi, non ero riuscita a sfuggire dalle paure.
Pensai ancora che l’amavo davvero tanto e non riuscii a ricordare quante volte gliel’avessi ripetuto quella stessa sera.
Mi aveva lasciato la sua felpa nera, che ora indossavo, e sentire il profumo del suo odore lì, con me, mi faceva impazzire. Mi portai il cappuccio al naso e inspirai profondamente ad occhi chiusi.
Tornai con la mente a pochi minuti prima quando, stretta nel suo abbraccio, mi chiese:
<<Tu non hai capito quanto ti amo, vero?>>. 
Non seppi cosa rispondere al momento. Il suo retorico interrogativo mi rimbalzava nella testa come la pallina di un flipper. Ricordo che riuscivo a pensare solo ad un'altra domanda: 
<<Quanto mi ami? Quanto?!>>

Sospirai e riaprii gli occhi: il semaforo era già diventato verde, chissà da quanto! Guidai veloce, con la musica alta nelle orecchie, le note delle canzoni che le piacciono che rimbombavano nelle casse, zigzagando tra le macchine sul rettilineo di via Tibaldi.
Quella sera mi aveva vista rattristata, ma ne aveva frainteso il vero motivo. Certo, ero triste per la sua partenza, ma sapevo che quello, dopotutto, era il meno: mi sarebbe mancata tantissimo, ma poi sarebbe tornata e avremmo ripreso a frequentarci come se niente fosse successo.
Ma no, quella sera travisò il mio sguardo: lei, che mi legge sempre dentro con una facilità pazzesca!
La mia tristezza era dovuta al solito motivo, che non potevo sempre ripeterle per non farla rattristare a sua volta e per non opprimerla. 
Già, avrei voluto che fossimo solo io e lei. Avrei voluto che il suo amore per me bastasse a farle scegliere di stare con me, rischiando tutto. In quel momento era la cosa che più desideravo… e che più mi spaventava! Certo, perché io sapevo di non essere abbastanza per lei, di non essere alla sua altezza. E questa paura mi portava sempre a partorire la stessa domanda: “e se sacrificasse la sua relazione per mettersi con me e poi si pentisse?” Le rovinerei ancora di più la vita.
Ma ogni relazione inizia con il rischio, con l’incertezza. E’ anche quello il bello di costruire una storia con qualcuno.
<<Quanto mi ami? Quanto sei disposta a rischiare per questo amore?>>

Prima che me ne potessi accorgere la mia vista si era appannata: gli occhi mi si stavano gonfiando di lacrime che, prontamente, scacciai con una brusca passata di mano.
<<Non devo piangere! Non da sola…>>  mi ripetevo a bassa voce <<…non senza di te, che sei l’unica che mi può consolare!>>
Ed era vero: non piangevo mai di fronte a lei! La mia tristezza o il mio malessere interiore veniva soffocato e sostituito dalla gioia del momento vissuto a pieno. Non c’era spazio per le lacrime, non c’era tempo per la tristezza! Solo amore, solo il piacere di quel presente insieme!
Mi asciugai di nuovo gli occhi e sorrisi. Dopotutto stavo bene! Ero felice di dare e ricevere quell’amore, ero felice di poter sperare, di poter sognare...

Arrivai a casa tutto sommato tranquilla, con la mente occupata dal suo sorriso allegro e dal suo sguardo brillante e innamorato.
Anche lei aveva un modo particolare di guardarmi e di sorridermi che mi faceva sentire davvero speciale. E non solo in intimità, ma anche davanti agli altri. Mi piaceva piacerle, e avrei gradito che tutti sapessero del nostro amore! 

Il giorno seguente partì per New York con il volo delle 10 del mattino. Non la sentii per ore, ma pensai a lei in continuazione, nonostante la giornata frenetica scandita tra visite ospedaliere, commissioni urgenti e discussioni con terzi.
Pensai che mi mancava terribilmente, che avrei voluto stringerla a me, cadere sul suo letto abbracciata a lei, lasciarmi avvinghiare dalle sue braccia e dalle sue gambe.
<<Lo faccio perché ho paura che tu possa andar via, che tu ti possa stufare di questa situazione e che mi possa lasciare. E io non voglio lasciarti andare!>>. Giustificava così quel suo tenermi quasi legata a sè. Pensai solo che non potevo andarmene, non avrei mai voluto. L’amavo troppo, in una maniera tale che se avessi preso la decisione di lasciarla probabilmente mi sarei sentita come privata di tutti gli organi vitali contemporaneamente.
Ormai era parte di me, ormai era il battito del mio cuore, il mio respiro, il mio fremito di piacere…. 
In poco più di un mese lei era riuscita a diventare il mio “tutto”!

Nessun commento:

Posta un commento