Diario personale di fatti realmente accaduti ed emozioni fortemente provate.
Ma anche no.

martedì 22 luglio 2014

Mi trovo smarrita davanti alla fila di citofoni nuovi. Non so ritrovare con la solita facilita quel doppio cognome che contraddistingue la mia famiglia paterna.
Cerco, frugo tra i tanti sconosciuti. Poi eccolo. Digito il numero: 15. Poi, come sempre, premo il tasto sbagliato per la conferma.
Alla seconda volta, risponde la voce squillante di mia nonna: "E' la mia piccolina?"
Dalla voce di una persona si possono capire tante cose. Dalla sua, decisamente, solo una: è una donna stanca, ma gioiosa. Non diresti mai che quel clarinetto solista e ogni tanto un po' balbuziente appartenga ad una donna di 85 anni, men che meno palermitana.
Mia nonna resta per me un mistero, come la sua voce per uno sconosciuto.
Entro dalla portineria, e la sensazione di caldo al cuore che mi viene nel vedere che, invece, gli ascensori -quelli no- non li hanno cambiati. Le porte gialle si aprono per farmi entrare, il menù dei tasti dei piani da premere ad altezza bambino, nero, con la luce rossa che si accende ad ogni piano sorpassato.
Schiaccio il numero 4. Da piccola mi sembrava un grattacielo la casa di mia nonna, e affacciandomi al balcone, la sensazione di onnipotenza che avevo nel riuscire a vedere lo stadio di San Siro, gli scivoli dell'acquafan e tutti i tetti delle case attorno era davvero stupefacente. Eppure abitava solo al quarto piano di un palazzo di sette. Ma a me sembrava già il punto più alto del mondo.
L'ascensore si ferma, le porte gialle si aprono. E quell'odore mi riempie le narici. Dove si era nascosta, per tutto questo tempo, questa sensazione? Profumo di latte bollito e caffè, del caffè della moka, quello un po' troppo tostato, e quell'odore dolce e croccante di pane pucciato nella tazza. Mio nonno, la mattina, sempre. A volte seduto, il più delle volte in piedi.
Gli angoli delle labbra si stortano verso l'alto al ricordo. Un senso di pace, una zuccherata gita nei miei ricordi d'infanzia.
Mia nonna è sull'uscio che mi aspetta, col suo profumo di saponetta e rossetto. Non so perchè profumi di rossetto dato che non ne mette praticamente mai.
Si alza sulle punte e mi tira con forza per il collo giù, verso di lei, una piccoletta energica che mi schiocca un bacio sonoro sulla guancia. La guardo e vedo mio padre: sono due fotocopie. Per quanto ne so, gli altri due miei zii potrebbero essere stati anche adottati..ma mio padre è identico a lei!
E' felice, salterebbe di gioia, se potesse. Lei è così, lo è sempre stata. Sarà quella fede che ha coltivato fino a renderla la sua ragione di vita, che la fa sembrare sempre così pimpante. Del resto, penso che basti convincersi di avere delle certezze inamovibili nella vita, per essere tanto felice da accettare tutto quello che ti capita con lo spirito ottimista. Ma non è lo stesso per mio zio. Per quanto si sia dato da fare, non gli è stato decisamente possibile nascondersi dentro quella camicia azzurra a maniche lunghe. L'ho abbracciato, ho stretto a me quell'involucro senza alcuna polpa ormai, duro e finto. Fingo bene, e forse è per questo che preferisce stare con me. Niente battute, niente frecciatine. Non lo forzo a parlarmi, parliamo di me, dei miei progetti, di quello che farei. Ad una sola mia domanda sul suo quotidiano, resta schivo.
Se mia nonna non è mai cambiata negli anni come quell'ascensore vecchio e odoroso, mio zio invece è quella giglia di citofoni freddi e impersonali. Difficili da comprendere, complicati da decifrare. Ma chi sono io per giudicare? Sono stata additata anche io come lui -una persona "problematica"- da chi ha il mio stesso sangue. Ziù resta lui, il ragazzotto con la panza, che si atteggia a bauscia milanese, ma in realtà tutto casa-chiesa. La simpatia gli è rimasta, prova che la voglia di scherzare e vedere il bello delle cose può esistere anche in qualcuno che gli altri considerano "depresso" e "a un passo dalla tomba".
Non so che scelte abbia fatto nella sua vita ultimamente. Non so che intenzioni abbia, e che strade abbia deciso di percorrere. So che non è stato facile arrivare dove è arrivato, ed è altrettanto complicato provare ad uscirne. Quando lo guardo, però, vedo un uomo solo, che ha perso l'ultimo treno della sera per tornare a casa, e non sa se ce ne saranno altri.
Essere in attesa. Di cosa, di chi, poi...
Quando me ne vado via, le porte dell'ascensore si chiudono alle mie spalle.
E a me resta solo in gola un groppone amaro che non riesce ad andare giù.

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